A dimostrazione del fatto che, tra rapide autostrade a quattro corsie, immense aree inquinate e degradate della periferia urbana, importanti centri industriali e produttivi si possano trovare scorci di realtà educative e creative, nasce il progetto de l’Orto in Campania, proprio nel cuore di uno di quegli imponenti e giudicati alienanti centri commerciali, troppo snobbati dalla borghesia intellettuale della “city” perchè capostipiti di quel brutale ed inarrestabile processo di cementificazione del suolo italiano e passatempo sterile per la società di massa.

Eppure, in barba a tutte le logiche capitalistiche del conseguire da ogni operazione il massimo rendimento in termini produttivi, della crescita a qualsiasi prezzo, della ossessionata ricerca del profitto, proprio da qui oggi si parte per educarsi ad un approccio più sincero ai cicli di produzione naturali e si promuovono iniziative “green” che possano rimettere in comunicazione i fruitori di grandi spazi di consumo, ancora troppo introversi, con il paesaggio esterno.

L’obiettivo è quello di ricreare un ecosistema rurale a misura di visitatore che coinvolga a scadenze stagionali il generico frequentatore di supermercati, l’acquirente di prodotti non sempre ben identificati purchè a buon mercato, il bambino che non conosce l’esatta morfologia di un pomodoro se non attraverso una lattina d’alluminio.

Questo sforzo contribuirebbe ad una sensibilizzazione delle masse sui temi del riutilizzo, della raccolta differenziata dei rifiuti, della riscoperta delle tradizioni agricole locali, della corretta scelta, conservazione e distribuzione dei prodotti agro-alimentari, e favorirebbe la diffusione di nuovi stili di vita soprattutto in vista dell’evento che tra 4 anni ci disporrà sotto i riflettori del mondo sui temi della nutrizione e dell’energia: l’Expo 2015 di Milano.

In quell’occasione sarà centrale la questione della sostenibilità ambientale, dell’autosufficienza alimentare in favore di una produzione a impatto e kilometro zero, e tutto non solo misurato sotto l’onnipresente profilo economico, ma valutato come necessità sociale e, anzi, come recupero ed opportunità per riavvicinarci alla terra che da troppo tempo stiamo torturando e costringendo in una relazione univoca.